venerdì, ottobre 13, 2006

PTU - Le recensioni - 2

Altra recensione di PTU, di Stefano Locati, da Sentieri Selvaggi

Notti di desolazione: PTU e il ritorno di Johnnie To

Da quando Johnnie To - insieme a Wai Ka-fai padre-padrone della Milkyway, la casa di produzione che più ha contribuito a ridefinire l’estetica del noir sul finire del secolo appena trascorso - pareva aver deciso che nei momenti di magra è meglio badare alla pagnotta piuttosto che perdersi in pie illusioni di qualità, molte delle speranze in lui riposte erano state disilluse. Certo, rimaneva la testimonianza di capolavori imprescindibili quali il furente A Hero Never Dies (1998), epitaffio cinico e disperato a qualsiasi amicizia virile immaginabile, o lo stordente quanto abbacinante The Mission (1999), sintesi di cura stilistica che sfocia nella profondità emotiva; ma dopo la lunga serie di blockbuster studiati a tavolino colmi di star, carineria e il minimo sindacale di impegno cui ci ha costretto, risultava difficile abbandonarsi alla speranza. Non fossero bastati i rimasugli romantici di Needing You... e Love for All Seasons, le commediole incolori Love on a Diet e Fat Choi Spirit o le commistioni azzardate ancorché indigeste quali Wu Yen e My Left Eye Sees Ghosts, erano arrivati a definitiva condanna la spacconeria di Fulltime Killer e l’inconcludenza di Running Out of Time 2 (seguito del discutibile ma perlomeno degno divertissement pensato nel 1999). Ben triste ammetterlo, nel futuro si prospettava un profluvio di incassi, ma al contempo la definitiva abdicazione da sostenitore di un cinema pieno, duro - sostanzialmente spietato - non tanto per i temi, solo incidentali, rivedibili di pellicola in pellicola, quanto grammaticalmente e costitutivamente. E invece no. E invece dopo due anni di lavorazione semiclandestina, con riprese fatte nei ritagli di tempo, arriva PTU, sberleffo (ma con amore) a chi lo riteneva definitivamente evaporato. PTU, al contrario, svela un Johnnie To accorto, quasi luciferino nel produrre con polso mercanzia all’ingrosso per poi dedicarsi nei progetti più personali alla destrutturazione come missione programmatica. Perché la storia della notte nera del sergente Lo, poliziotto sopra le righe che rincorre alcuni teppistelli rei di avergli imbrattato l’auto, fino a cadere, battere la testa e risvegliarsi senza pistola, non è altro che la rilettura allucinata di Stray Dog (Kurosawa Akira, 1949) nell’ottica di Fuori Orario (Martin Scorsese, 1985). Lo chiede aiuto all’amico Mike Ho della Police Tactical Unit, e insieme decidono di provare a recuperare l’arma prima che faccia giorno, noncuranti delle due bande malavitose coinvolte e delle attenzioni della disciplinare, impersonata dalla testarda Cheng, che alita sul collo di entrambi. Per le strade deserte e nullificate del quartiere di Tsimshatsui, in una Hong Kong mai così notturna e glaciale, prendono ad aggirarsi esseri umani sperduti come formiche fameliche, preda di pulsioni basilari e sogni ad occhi aperti della durata di un battito di ciglia - personaggi in cerca di un baricentro costretti a girare su se stessi, a vuoto, fino all’incontro col fato, in un finale circolare quanto beffardo, che cancella ogni aspettativa eroica per indulgere sulle disgrazie stradaiole e rifrangenti di un’umanità frammista, implosa. Tra karaoke, sale giochi, retrobottega di ristoranti cadenti e, su tutti, vicoli ribollenti rabbia - teatro di pestaggi e nefandezze di ogni sorta - sovrasta un anelito anti-manicheo che polverizza qualsivoglia senso di continuità precostituita, preferendogli piuttosto la dilatazione dei ritmi, in un respirare affannoso e sincopato che dà spazio alle vanaglorie quotidiane di poliziotti canaglia e malavitosi sfigati. Lam Suet, finalmente eletto a un ruolo di primo piano dopo decine di (perfette) caratterizzazioni, è una maschera tragicomica, Simon Yam, insolitamente controllato, è lo sguardo sadico del potere con manganello, Ruby Wong, silenziosa e sensuale in vestiti maschili troppo grandi, è la parte fallibile della burocrazia: come collante, una colonna sonora cromata, sferragliante di chitarre vellutate e suadenti.

Stefano Locati, Sentieri Selvaggi, un po' di tempo fa.
(http://www.sentieriselvaggi.it/
articolo.asp?idarticolo=5361&idsezione=99&idramo1=99)


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